Un neonato piange tanto e spesso. Non vi preoccupate, è normale. E’ il solo modo che ha per comunicarvi un suo bisogno. Non ascoltate coloro che vi dicono che un bambino sarà viziato se rispondete sempre ai suoi pianti. Nei primi mesi è totalmente dipendente da voi e ha un gran bisogno di essere confortato: se gli rispondete, si sentirà sicuro e potrà separarsi da voi in seguito, serenamente. Il neonato è un naufrago senza punti di riferimento e voi genitori siete il suo unico porto sicuro!!!
Il pianto: una questione di difficoltà di adattamento alla vita extrauterina.
Nei primi tre mesi di vita un neonato dispone ancora di un repertorio limitato di segnali per “dire” cosa desidera. Il pianto è il mezzo di comunicazione in assoluto più efficace di cui dispone, ma allo stesso tempo non veramente differenziato, potendo significare qualsiasi cosa.

I primi tempi quindi sarà davvero difficile comprendere le ragioni del pianto del bambino. Sappiate però che un neonato non piange mai senza un motivo o per semplici capricci. Il pianto è per lui un linguaggio, esprime un bisogno o un malessere fisico.
Poco a poco imparerete a riconoscere i pianti del vostro bambino, semplicemente ascoltandolo e osservandolo: cosa vi mostra? Cosa vi vuole dire? Spesso il pianto ha le stesse cause: fame, il ruttino da fare, sentire freddo o caldo, il pannolino sporco, un rumore, il nasino chiuso, la stanchezza… In due mesi vi conoscerete meglio e il bambino modulerà le sue reazioni anche in base alle vostre.
Senza dubbio assistenza e manuali non mancano. Già nel reparto di maternità i neogenitori vengono travolti da una quantità di informazioni e consigli, ai quali si aggiungono poi quelli, più o meno richiesti, di familiari e conoscenti.
E come afferma il detto popolare, secondo il quale troppi cuochi rovinano la minestra, consultare troppe persone lascia un pò sconcertati: ognuno sembra conoscere l’ingrediente segreto per il perfetto “cocktail tranquillizzante per il bebè”, ma alla fine ci si ritrova con tanti parerei discordanti e ancor più insicurezze di prima.
Capire solo in base al tipo di pianto di cosa ha bisogno un neonato in quel preciso momento è un’impresa ardua, anche per i professionisti del settore.
Il pianto del neonato è in realtà programmato per suscitare comportamenti di conforto o attaccamento nei genitori, le risposte sono praticamente “scritte” nel nostro inconscio. Fidiamoci perciò del nostro istinto!!!
Oggi si parte dall’idea che, per quanto riguarda il livello di sviluppo raggiunto, rispetto ai piccoli di altri mammiferi, quelli dell’essere umano avrebbero bisogno di un altro trimestre di gravidanza (teoria del trimestre mancante di gravidanza). Questa immaturità del neonato emerge dalla loro motricità, grezza e a scatti, dalla scarsa coordinazione di testa, occhi, braccia e gambe, dal sistema digerente ancora molto delicato e dall’estrema sensibilità agli stimoli esterni. I neonati inoltre sono dotati di una vista molto miope e presbite, che all’inizio permette loro di distinguere solo contrasti tra luce e buio. Essi vedono bene solo ad una distanza di circa 25 cm, esattamente quella in cui si trova il volto del genitore che lo tiene in braccio. Nelle prime settimane di vita il bambino si accontenta senza alcun problema di questo “programma”, che rimarrà la sua “trasmissione preferita” fino al 3°-4° mese di vita. Fino a quell’età i lattanti preferiscono decisamente i volti umani a qualsiasi altro oggetto di osservazione.
Pertanto essi non sono ancora pronti per reggere il nostro “normale” stile di vita e tutti gli stimoli che esso comporta e quindi reagiscono con il solo strumento a loro disposizione: il pianto!
Il contatto fisico è il modo per sopravvivere alle crisi di pianto.
Ma di cosa ha bisogno un esserino che non ha sotto controllo le braccia e le gambe, che se lasciato disteso sulla schiena senza alcun appoggio si ribalta su un lato e che non ha ancora una precisa percezione di sè e dei confini del proprio corpo?
Di un trattamento particolare, simile a quello della vita intrauterina, caratterizzato da un contatto fisico costante per la durata dei nove mesi.
Osservando le immagini di un bambino nel ventre materno nelle ultime settimane prima della nascita, la prima cosa che salta all’occhio è che se ne sta tutto rannicchiato.

Per i neonati, in effetti, deve essere quasi uno shock sentirsi estratti da quel posticino angusto, ma accogliente, e distesi all’improvviso sulla schiena.
Vediamo una piccola curiosità. Sapevi che i Balinesi tengono il bambino attaccato al proprio corpo per ben 105 giorno dopo la nascita? Per noi europei una cosa impensabile!
Inoltre non è sempre e solo la madre a farlo: qui i bambini crescono all’interno del gruppo sociale e passano in braccio da una persona ad un’altra; un vero servizio di assistenza infantile!
Il centocinquesimo giorno dalla nascita (vale a dire dopo tre mesi abbondanti) i neonati balinesi vengono sottoposti ad un rituale: ricevono il loro primo sorso d’acqua e si vedono strofinare un uovo su braccia e gambe, dopo di che vengono depositati per terra. Da quel momento in poi entrano ufficialmente a far parte della tribù. Fino ad allora sono come piccoli canguri, uccellini non ancora usciti dall’uovo, una sorta di “appendice” della madre. Risulta ovvio che in simili culture i neonati non dormono nemmeno da soli.
Pertanto quando il vostro bambino fa fatica a calmarsi, lo stretto contatto fisico è tutto ciò di cui ha bisogno.
Sappiate che il “contatto fisico” non è un lusso per questi piccoli neonati, ma una necessità assoluta per poter crescere bene!
Concedere ciò ad un bambino nei primi tre mesi non significa viziarlo, poichè non ha ancora la capacità di calmarsi da solo o di approfittare di giochi per distrarsi. L’intenso contatto fisico in questa fascia d’età permette al lattante anche di sviluppare la percezione del proprio corpo e, con esso, di sè.
I neonati amano i limiti fisici ed hanno bisogno di percepire i propri confini e, in tal modo, sentirsi al sicuro. Esistono pertanto diverse strategie di aiuto per i genitori:
- limitare lo spazio all’interno della culla o del lettino utilizzando cuscini per l’allattamento o coperte arrotolate, in modo che la testolina, ma anche le braccia, vi aderiscano completamente;
- avvolgere il neonato con una coperta, “impacchettandolo” (l’antica tecnica della fasciatura era assolutamente fondata). A noi farebbe orrore immaginare di venire “incatenati” in questo modo. I neonati, invece, lo apprezzerebbero. Pensate a come era stretto, e felice, nel grembo materno!
- Tenere il più possibile il piccolo a contatto con il proprio corpo, utilizzando la fascia portabebè, che consente di trasportare il bambino in posizione orizzontale e di proteggerlo al contempo da stimoli esterni, principalmente visivi.
Per i neonati da 0 a 3 messi è assolutamente sconsigliato il marsupio, a causa della postura verticale, innaturale per tenere la colonna vertebrale del piccolo, per cui ortopedici e fisioterapisti ne sconsigliano caldamente l’utilizzo fino all’età in cui il bambino non riuscirà a sedersi.
E’ fondamentale cominciare ad abituare vostro figlio alla fascia portabebè quando è tranquillo e riposato. Solo così gli risulterà familiare e d’aiuto quando sarà agitato.
Esistono ancora altre strategie utili a calmare un neonato in preda ad una crisi di pianto.
- Emettere suoni sibilanti, che ai bambini appena nati piacciono parecchio, perchè ricordano l’ambiente originario nel quale sono cresciuti: il grembo materno. Oppure se proviamo ad immaginarci il sangue della madre che scorre nelle arterie, possiamo capire come mai i neonati trovino così rilassanti questi suoni sibilanti.
Le mamme ricorderanno forse l’esame cardiotocografico, nel quale oltre ad osservare sullo schermo la linea del battito cardiaco del piccolo, si sentiva anche un forte rumore, come se all’interno della pancia stesse lavorando a pieno ritmo una ruota idraulica. - Cullare il neonato, o sistemandolo nella fascia portabebè o portandolo in giro in braccio per la casa, adottando un’andatura molleggiata. Più forte sarà il pianto del bambino, più sarà necessario accentuare l’oscillazione.
Cullare dolcemente un neonato in preda ad una crisi di pianto non sortirà alcun effetto su di lui, in quanto la rigidità fisica in cui si trova gli impedirà di accorgersene. - La suzione, che per il lattante è il sistema più efficace in assoluto di cui dispone per acquietarsi da solo.
Spesso i genitori adottano tecniche di acquietamento (adatte a bambini più grandi, per esempio dal 4°-5° mese) che consistono in genere in tentativi di distrazione, i quali non faranno altro che stimolare ulteriormente il piccolo. Per esempio spesso si vede che la maggior parte dei genitori attinge alla “scatola dei giochi” (abbiamo detto che fino al terzo mese di vita del neonato il suo unico programma preferito resta il volto del genitore) oppure è frequente l’idea di portarlo in giro appoggiandolo alla spalla per mostrargli altre cose o di volerlo distrarre parlandogli e ponendogli domande.
Per quanto riguarda il girare per casa con il neonato in braccio, è questa la strategia di acquietamento numero uno, per eccellenza. Ma si rivela corretta se si sorregge il neonato nella posizione di allattamento e, ancora meglio, se si coprono gli occhi con un panno: in questo modo si sentirà più protetto dagli stimoli indesiderati. E’ invece sbagliato o poco efficace portare in giro in braccio un neonato troppo stanco e già urlante, specialmente tenendolo appoggiato alla spalla anzichè in posizione orizzontale: così non riuscirà certamente ad addormentarsi in modo semplice, anche perchè sarà continuamente “colpito” dai vari stimoli che gli giungono dall’ambiente esterno.
E non è assolutamente “colpa” di nessuno dei genitori se il bambino inizia a piangere più di prima. E’ indispensabile, nell’attuare le strategie di acquietamento, tenere presente l’età del bambino.
Inoltre è buona norma che a calmare il piccolo sia il genitore con i nervi più saldi in quel momento, perchè l’agitazione è contagiosa.
In generale i genitori dei neonati soggetti al pianto non fanno “troppo poco” per il loro bambino; al contrario, fanno “troppo”!
(Christine Rankl)